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Pompeilab “Grandi viaggi” - Paura e delirio in Transilvania

Da pochi giorni si è concluso il primo viaggio del Pompeilab, reso possibile grazie all’impeccabile coppia di organizzatori, conosciuti ormai come il Professore ed il Webmasto. Si è trattato solo di una breve due giorni, ma le emozioni, non sono certo mancate. Uno slogan di qualche anno fa, recitava: ”un buon viaggio comincia prima di partire”, quello del nostro tour, invece : “Paura e delirio in Transilvania” e le promesse sono state rispettate già dalla partenza.
Era notte fonda, quando i partecipanti al tour, arrivavano in piazza Falcone e Borsellino, dove li attendeva il bus, che li avrebbe condotti all’aereoporto di Roma Fiumucino. I più erano reduci da un party alcolico svoltosi al vicino Kaos caffè, che, per l’occasione, aveva preparato intrugli dai colori ematici, che avevano lasciato il segno. Intanto, fioccavano notizie di defezioni da parte di diversi membri del gruppo, assotigliatosi, ormai, di circa venti unità. Gaia , la piccola di casa Izzo, nonché mascotte della comitiva, era febbricitante e ciò aveva “influenzato” i genitori a non partire, alcuni non avevano ricevuto le ferie al lavoro ed altri, a poche ore dalla partenza, erano stati addirittura rapinati, non dei soldi, ma, incredibile a dirsi, dei documenti necessari per il viaggio.
Incuranti degli oscuri presagi si partiva alla volta di Roma e dopo un paio di pipì stop, richiesti a viva voce da vesciche ululanti, si giungeva a destinazione, ma le sorprese non erano ancora finite. Durante la procedura d’imbarco di un bagaglio, mast’Aniello, depositava inavvertitamente in valigia, anche il suo titolo di viaggio e la carta d’identità, che si allontanavano, placidamente, sul nastro trasportatore. Solo dopo un lungo alterco con una dipendente della compagnia di volo, dotata del garbo e della delicatezza di un airbus, decollava, finalmente, la soluzione al problema. Mentre si rifletteva sullo scampato pericolo, giungeva un’altra funesta notizia: la dolce metà del tesoriere del Pompeilab, causa documento d’identità scaduto, era destinata, inappellabilmente, a non partire e di conseguenza il suo compagno, senza apparentemente colpo ferire, decideva, amorevolmente, di rinunciare ai tesori della Romania per il suo. Dopo quet’ultima defezione, la comitiva “Grandi viaggi” prendeva il volo per la Transilvania, giungendo, incredula, a Cluj-Napoca. Prima necessità cambiare gli euro nella moneta locale: il “Lei”, a cui, molti di noi, non hanno saputo dare del “tu”. Primo fra tutti il noto regista John Balzano, che, pensando di dover rimanere due settimane e non due giorni, si avventurava in un cambio spregiudicato, che lo ha obbligato a smerciare valuta rumena per tutto il viaggio. La comitiva, poi, arrivava, come direbbero i rumeni, o “centru” della città, a bordo di un bus zeppo quanto il famigerato “R2” nell’ora di punta e con un improbabile sistema di obliterazione dei biglietti, che, nel napoletano, avrebbe riscosso clamorosi consensi. Dopo una percorso, a suon di trolley, si giungeva all’ostello e le strade del gruppo, da questo momento in poi, si dividevano, rendendone arduo un organico resoconto. Si racconta di persone estasiate da pasticcieri di strada, intenti nella preparazione del “kurtosh”, ghiotto cilindro roteante su brace ardente, si racconta di passeggiate intorno ad un parco, in cui, la cosa più verde era rappresentata da un’ arrugginita cancellata metallica, che lo delimitava, come zona a rischio (non solo di tetano), si racconta di un gentiluomo d’altri tempi, di nome Bobo, che omaggiava con rose rosse le donzelle del gruppo, lasciando a mani nude ed in un sorriso da Colgate max white un venditore di strada, si racconta dei festeggiamenti per il compleanno di Carlorso (la cui vera età rimane uno dei più grandi misteri della civiltà occidentale) accompagnati da fit-fit e dallo “splendido” canto neomelodico di Mario Micione, si racconta pure di uomini, notoriamente eterosessuali, che, sotto l’azione di Bacco e dei suoi derivati, dividevano, stretti l’un l’altro, come in un talamo nuziale, il divano di un locale notturno, si racconta, infine, della fama del Pompeilab, giunta fino in Romania, già prima del nostro arrivo, ma, a tal proposito, è necessario raccontare meglio quanto accaduto.
Domenica 6 dicembre, dopo vane ricerche, i membri del guppo, devoti a San Paolo, si recavano in pellegrinaggio al ristorante-pizzeria “Napoli centrale”, per assistere alla diretta della partita contro il Bari. Il napoletanissimo gestore del locale, saputo che facevamo parte di un’associazione pompeiana, ci chiedeva, per caso, se fossimo del Pompeilab e la nostra segretaria, confusa e “Felicia”, rispondeva: “Siamo noi!”. Superato lo stupore iniziale, venne chiarito l’arcano: il ristoratore, scrittore per diletto, ci aveva contattato attraverso le infinite strade della rete, per avere informazioni sul relatore di una conferenza, svoltasi presso il Pompeilab. Il chiacchericcio intorno a questo incredibile episodio, veniva interrotto dal fischio d’inizio della partita, che vedeva il Napoli, prima soccombere e poi trionfare, dopo un gol del redivivo Quagliarella. L’evento provocava l’esplosione della curva del Pompeilab in urla disumane, tra lo sconcerto delle coppiette rumene, che, avrebbero sicuramente preferito accompagnare le loro pizze con la dolce armonia di un mandolino.
Vero apice del nostro viaggio sono state, poi, le pantagrueliche esperienze gastronomiche, consumatesi nei fumosi ristoranti del luogo, ultimi baluardi del tabagismo europeo e dell’abbuffata low cost. Esemplare, quanto travagliata, è stata a tale riguardo l’ultima cena a Cluj. Gli organizzatori della “Grandi Viaggi” avevano prenotato uno dei più esclusivi locali della città, ma, un responsabile del ristorante negava l’ingresso alla nostra allegra comitiva, adducendo come motivazione l’ora tarda, ma, mascherando forse, la paura per il potenziale distruttivo dell’orda “labica”. Per niente scoraggiati dall’episodio approdammo in un altro locale, che, alcuni di noi, avevano già avuto modo di apprezzare per cucina ed ospitalità e che si sarebbe potuto definire: “Il paradiso del carnivoro”. Su sedie rivestite da pelle di pecora, tra tocchi di lardo puro e quarti di maiale, innaffiati da vino, birra ed da una grappa locale altamente infiammabile, i commensali si erano abbarbicati al tavolo, come gli invitati di un matrimonio anni ottanta al Vesuvio. Contribuiva ad aizzarli ancora di più, l’infernale sottofondo musicale, che proponeva: Laura Pasini, Eros Ramazzotti, Toto Cotugno, Albano e Romina, Pupo, I ricchi e poveri e Nino D’Angelo. Proprio sulle note di “Quel ragazzo della curva B”, dell’ex caschetto d’oro, iniziò l’escalation del delirio, culminata nella richiesta della hit di Alberto Selly: “’O ballo d’o cavallo”. Fu in quel momento, che, in un barlume di lucidità, onde evitare di essere citati nella cronaca locale, si decise di pronunciare la fatidica parola: ”Conto!”. Lasciato il ristorante, ci si dirigeva con ardite traiettorie a zig-zag in un locale notturno, per cercare di stordire, a suon di decibel, gli ultimi neuroni ancora degni di tale nome.
Al risveglio dal coma etilico, la comitiva, preparava il bagaglio a mano per il rientro a casa, con l’attenzione tipica di chi non è intenzionato a pagare supplementi alla compagnia aerea. Dopo poche ore si atterrava sull’italico suolo dell’Urbe e si proseguiva in bus, giungendo tra: cori, lazzi e frizzi a Pompei.
Sul volto di ognuno di noi si leggeva la soddisfazione per l’esperienza fatta, la voglia di ripeterla quanto prima e la consapevolezza che, come recita il motto della “Grandi Viaggi”: “’O viaggio è meglio addò fa ch’addò piglià!”.



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