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Speciale Musica: Port- Royal – Dying in Time

A distanza di più di due anni da “Afraid to dance”, ritornano i Port-Royal con un nuovo e attesissimo lavoro che si allontana, sotto diversi aspetti, dal precedente puntando di più all'Europa dei suoni. “Dying in Time” è un album dal sapore internazionale, incalzante, fedele allo spirito dei Port-Royal ma più maturo e raffinato. I suoni e le atmosfere a cui siamo stati abituati dalla band genovese ci sono ma il mezzo di comunicazione è diverso : non più ambient vestito da shoegaze ma un ambient che vira più verso un'elettronica oscura e martellante ma, al tempo stesso, distesa e sognante. “Dying in Time” è costruito, infatti, proprio in base ad un alternarsi tra vuoti e pieni, melodia e ritmo ; prendete come esempio “Anna Ustinova”, con le sue percussioni iniziali e quel movimento lento, soffice, quasi spaziale sul finale. La dance, inoltre, non manca. Scelta che potrebbe far discutere una parte dei numerosi fan dei Port- Royal ma, a mio avviso, inevitabile e destinata sempre di più a crescere. "Balding Generation (Losing Hair As We Lose Hope)", primo singolo dell'album, è anche il vero preludio al nuovo corso dei Port-Royal, il loro nuovo manifesto, che molto probabilmente prevederà un utilizzo concreto di beat elettronici e di ritmi incalzanti lasciando sempre più in secondo piano le chitarre. Quali sono, allora, gli elementi di continuità tra “Dying in Time” e i vecchi Port-Royal? Innanzitutto la suite finale, divisa in tre parti, vero trait d'union con un passato shoegaze e, forse, uno dei momenti migliori del lavoro. Inoltre una capacità visionaria ed espressiva portata ad alti livelli, la lunghezza - in questo lavoro eccessiva - dei brani che li ha sempre caratterizzati sin dai tempi di “Flares” (all'epoca paragonavamo i Port-Royal ai Mogwai), le atmosfere post-rock oggi geneticamente modificate in post-dance. “Dying in Time” è un disco “da vertigini” che risente però di una lunghezza eccessiva, sia dei brani che complessiva. Non c'è un discorso unitario ma ogni canzone costituisce un frammento, un tassello di un percorso che inizia e non viene portato a termine. Non c'è una trama unitaria e, alla lunga, questa frammentarietà potrebbe stancare. Resta il fatto che i Port-Royal sono ancora una realtà interessante, da esportare, da carpire, da scoprire. Che però si è fatta prendere un po' troppo la mano dai synth e dai beat.

Francesco Bove.


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