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I racconti di premiscelato: L'ULTIMO VOLO

Dedicato a tutti i numeri uno che conosco:
tanto cuore, coraggio e un po’ di pazzia.
In porta si è sempre soli.
Volare verso la palla
è una sensazione unica.
La prima volta non si dimentica mai,
ma col tempo ti accorgi
di essere diverso dagli altri.
Ad Antonio.
Il mio portiere preferito.
Che tu, Mosca,
possa tornare a volare in alto.
Ancora una volta.
Ancora come prima.
A Luca
Guardati attorno.
Fuori dai pali non sei solo.
Fai la cosa giusta.
Quella che ti suggerisce il cuore
ed il tuo coraggio.


L’ULTIMO VOLO.


L’acqua cadeva sul viso. Calda. Scendeva e gli scivolava via lungo il corpo.
Gli occhi chiusi.
Rivide quello che era successo là fuori.

Il pallone che arriva. E’ sicuro di prenderlo. Eppure fallisce. La palla gli rimbalza davanti. Forse una zolla, una buca o la fottuta sfiga.

Chiuse la manopola dell’acqua e uscì dalla doccia. Prese il solito vecchio asciugamani e se lo avvolse attorno alla vita. Lo spogliatoio era deserto. Si sedette sulla panca fredda e poggiò la testa tra le mani. Il cervello tornò nuovamente ad andare.

Quella maledetta palla che sbuca all’improvviso tra una foresta di gambe. Deve prenderla. Bloccarla tra i guantoni... e invece gli scappa via dalle mani. Porco diavolo!

- Hei Lou. Che ci fai ancora qui ? Ti muovi ?
Lou alzò la testa. Era il vecchio allenatore.
- Mi sono attardato. Tanto stasera non mi va di andare da nessuna parte. Faccio con comodo e ...
- Lou. Non te la prendere. A tutti capita di sbagliare.
- Si, lo so, mister. – Rispose Lou sospirando. - Solo che quest’anno mi gira tutto male.
- Capitano le annate da schifo. Dai vestiti che andiamo via assieme.
- No, grazie, mister. Ho la moto. Torno da solo.
Il vecchio mister lo guardò come si guarda un cane bastonato e rognoso. Lo sapeva che niente andava bene.
- Sei sicuro ?
- Si.
- Va bene. Ci vediamo domani all’allenamento. Non ti preoccupare che la prossima partita ti andrà meglio.

La prossima partita ti andrà meglio. Si fa presta a dirlo, pensò Lou. E’ bello fare il finocchio con il culo degli altri, mister ! Tanto non c’è lui in campo la domenica.

Guardò le panche vuote degli spogliatoi. Lou era abituato a stare da solo. In porta è sempre così. Sei sempre solo a giocare la partita tra i pali, in compagnia dei tuoi pensieri.
Ma quel silenzio era assordante. Non riusciva a sopportarlo.
E non aveva voglia di alzarsi da quella panca. Vestirsi. Non aveva voglia di tornare a casa. Era stanco.
Stanco.
Si mise a sedere dritto. Guardò davanti a se e vide la sua immagine nello specchio. Ne erano passati di anni da quando aveva infilato per la prima volta i guantoni. Era diventato un portiere per caso. Non era buono con i piedi. E alla scuola calcio lo mettevano sempre in porta. Gli altri ragazzini lo prendevano in giro perché era alto e magro. Lui non reagiva. Non fiatava. La rabbia che aveva in corpo la conservava in un punto remoto del cuore. Per usarla tutta quanta quando era tra i pali. Lì il bruco diventava farfalla. Nella sua area di rigore era il padrone.
Poi gli successe come ad altri era successo prima di lui. Un grande infortunio. L’operazione. La convalescenza. Fino a scoprire una volta in campo di non essere più lo stesso.
Perse il treno per il successo e finì nelle serie minori. A rompersi le ginocchia sui campetti in terreno.

Deve bloccarlo quel pallone. E invece gli sfugge dalle mani. Lo segue con lo sguardo da terra. Quella fottuta va in rete. Lenta e spietatamente beffarda come in un ralenty. L’urlo dello stadio. Porca troia, come gli è sfuggita quella palla. Era lì e poi...
L’urlo della folla.
La paura.


Ecco cosa era cambiato. Gli era successo quello che ad un portiere non può mai succedere : avere paura. Il terrore di sbagliare. La tensione che ti blocca le gambe. La sicurezza che abbandona gli occhi.
Riusciva ancora a vederli i suoi compagni in campo. I loro sguardi e quel fottuto pallone nella rete. Dov’era andato il portiere di una volta ? Dov’era andata la sua rabbia ?
Afferrò i guantoni dalla panca e li scaraventò contro lo specchio.
- Merda ! – Gridò con tutto il fiato che aveva.
- Ehi Lou !
Una voce di donna. Era Laura. La sua ragazza.
- Che ci fai qua ? – Chiese il portiere.
- Non ricordi che avevamo un appuntamento dopo la partita ? Ma che ti succede ?
- Che mi succede ? – Rispose Lou senza nemmeno guardarla. – Succede che ho quasi quarant’anni e corro ancora dietro ad un pallone in un campetto di prima categoria, come uno stronzo. Cosa devo dire ? Che l’unica cosa che sapevo fare era stare tra i pali di una porta... una volta. Adesso neanche più quello.
Ansimava di collera.
- Non dire così ! – Gli disse Laura. - Sei ancora un buon portiere. E i tuoi compagni lo sanno. Sei ancora in grado di giocare.
- Ho paura, Laura ! Vuoi proprio sentirmelo dire ? E allora te lo dico. Ho paura di giocare. Di sbagliare. Mi è accaduto quello che non può accadere ad un portiere quando è tra i pali : pensare. Pensare di sbagliare ! In porta non puoi sbagliare. Non puoi pensare. Altrimenti sei fottuto ! Finito! Chiuso!
Silenzio.
- Non ne capisco molto di calcio. E lo sai, Lou. Ma penso che una partita di calcio è come la vita. Si vince e si perde. Puoi cadere per terra. Tutti possono cadere. Ma devi trovare la forza di alzarti, perchè aldilà del calcio la nostra vita continua. No ti puoi arrendere. Io ti ho amato e ti amo per l’uomo che sei. Non me ne frega niente se sei in grado di giocare o meno.
Laura si abbassò e prese i guanti da terra. Si avvicinò e glieli porse tra le mani stringendogliele. Poi lo baciò sulle labbra.
- Ti voglio bene. – Gli sussurrò alle orecchie. – Vestiti che ti aspetto fuori.
Lou rimase immobile a sentire i passi della donna che si allontanavano.
Piombò di nuovo il silenzio.

Il boato della folla. Si guarda i guantoni sporchi. Come l’aveva persa dalle mani ?
E intanto il pubblico grida e ride. Gli occhi dei compagni. Non la vuole la loro dannata compassione.


Si rivestì.
Prese una corda. Salì sullo sgabello e la legò al tubo sotto il soffitto dello spogliatoio.

L’urlo della gente, le risate.

No. Non avrebbe retto un’altra volta. Non un’altra volta.
Respirò forte. Con gli occhi umidi di lacrime. Vedeva tutto sfuocato come quando non aveva visto arrivare quella dannata palla.

Gli occhi dei compagni e il pallone in fondo alla rete.

Infilò la testa dentro il nodo scorsoio.

Poi si udì un rumore forte. Di vetri infranti.
Alzò gli occhi e vide il vetro rotto della finestra dello spogliatoio. Un pallone scese dall’alto e rimbalzando gli finì tra le mani.
Lou trasalì. Come risvegliatosi da un incubo. Si sfilò il cappio dal collo e saltò giù.
Poi corse fuori a vedere.

Quello che vide fuori era un ragazzino grassoccio con la testa dentro la finestra rotta degli spogliatoi.
Lou gli si avvicinò ancora con il pallone tra le mani tremanti e poi gli disse:
- Questo è tuo, se non mi sbaglio.
Il ragazzino tirò la testa fuori dalla finestra e si girò verso quella voce.
- Mi dispiace ! – Disse con voce tremante – Io non volevo ... – Poi gli si illuminò il viso – Ehi, ma tu sei Lou “il gatto”. Il portiere.
- Così dicono. Tu mi conosci ?
- Si. Mio padre dice che sei stato un grande portiere e che se non fosse stato per quell’infortunio saresti andato in nazionale... mi dispiace per il vetro...
Lou guardò quel ragazzino grassottello. Lo guardava e pensava a come era strana la vita. Per una palla stava togliendosi la vita ed una palla gli aveva salvato il culo. Gli tremavano ancora le gambe per la tensione.
- Non ti preoccupare, ragazzo. – Gli disse sorridendo Lou - Ma cosa stavi facendo ?
- Mi sto allenando. Sono un portiere. Come te. - Disse il piccolo – Ma i miei compagni a volte mi prendono in giro perché sono un po’ grasso.
Quel ragazzino non sapeva quello che aveva causato con quella pallonata. Ma Lou non se ne sarebbe mai più dimenticato.
- Non sei grasso. – Gli disse. - Prendevano in giro anche me quando avevo la tua età. Dicevano che ero uno spilungone.
- Davvero ?
- Si, davvero.
Il marmocchio prese coraggio. Fece due passi verso di lui e gli prese il pallone dalle mani.
- Io mi alleno anche da solo, perché voglio diventare forte da grande. Voglio giocare in serie A !
Lo disse in maniera seria. Come solo i ragazzini lo possono dire alla loro età. Quando hai ancora tutta la vita davanti e non ne hai ancora assaggiato l’amaro.
- Che dici se ti do una mano ad allenarti ? – Gli chiese divertito Lou. La tensione lo stava lentamente abbandonandolo.
- Davvero ? – Esclamò il ragazzino ed il suo volto si illuminò.
- Si. Dopo i miei allenamenti possiamo vederci qua se ti và.
Lou rivide in quegli occhi gli stessi che aveva lui da piccolo. Rivide quella rabbia e la voglia di combattere. Quasi se ne era dimenticato. Quasi s’era scordato di quanto fosse bella la vita.

***


La moto correva veloce lungo il viale alberato che portava al mare. Le prime luci cominciavano ad accendersi dalle case e le braccia di Laura erano serrate attorno ai suoi fianchi.
Lou dopo tanto tempo si sentiva veramente sollevato. Felice.
Mentre il vento gli spettinava i capelli , ripensò al viso grassottello di quel ragazzino. E all’energia dei suoi occhi furbi. Gli avevano dato una nuova carica. Gli avevano fatto vedere la sua vita oltre i pali di una porta.
Domani avrebbe cominciato ad allenarlo.
Mentre lui, forse, avrebbe smesso di giocare a fine anno. Ma finalmente adesso il futuro non sembrava fargli più paura.
Girò la manopola del gas e l’accelerazione fece lievemente impennare la moto.
Le braccia di Laura da dietro si serrarono ancora di più a lui. Sulla sella, adesso, erano un tutt’uno. Riusciva a sentire perfino il battito del suo cuore.


Premiscelato


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