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Onehand Jack

Onehand Jack

Stefano Benni, Teatro 2

Questa è una città strana, piena di grattacieli e bassifondi, mitra e sax, pescecani e santi. Imbellettata di luci e intossicata di fumo come una puttana a mezzanotte. Ma le puttane almeno hanno un cuore. Bene, vi racconterò la storia più strana che ho sentito in questa città puttana, e ascoltate bene, perché di tutte le storie che la notte contiene nessuna c’è come la storia di Onehand Jack.

Onehand Jack era un ragazzino con un braccio solo.
Non glie l’aveva rubato né un cannibale, né un gatto, né un chirurgo distratto, né mister Frankenstein.
Era nato così.
E Onehand Jack una notte camminava nella grande città, pioveva, le stelle starnutivano, ma lui andava, senza ombrello e con la testa in aria, verso casa.
Verso la sua casetta, la più lurida baracca nella strada più desolata del più squallido rione della più miserabile zona della città puttana.
Ma anche in una casa così puoi sognare cose grandi.
Anche in una casa così, oh sì, puoi sognare cose grandi.
E Onehand camminava pensando:
"Oh lord, mio signore, che ne sarà di me ho un braccio solo, non posso giocare a baseball, non diventerò mai presidente, non posso far niente. Oh lord, io vorrei suonare la batteria, il piano, il sax contralto, il sax baritono, il sax soprano, il sax banano, ma come faccio senza una mano?
Oh signore, vivo in una città di bui grattacieli, ma da ogni finestra illuminata sento scendere musica che mi incanta, rock, jazz, blues, pop, e tacchi che ballano, posate sul tavolo, cuori che battono, letti che cigolano, diavolo che ritmo signore.
E io non potrò mai suonare.
Oh signore, Dio Bodhisattva Shiva Dio del Jazz Manitù Mingus, che strano artista sei
Che strano perfido artista sei
Che canzone del destino vuoi suonare per me signore?
Dimmelo, che destino vuoi suonare per me?
Ascoltami signore lassù dall’alto dei grattacieli."
Ed ecco che si ode un tuono in fa diesis e da una nuvola nera roteando ronzando come un calabrone gigantesco piomba giù un tipo davvero strano.
Un gran negro con lo smoking di lamé e una tromba in mano.
E dice:
"Mi hai chiamato piccolo?"
"Chi sei?"
"Sono Dio, I’m God baby Onehand Jack, sono il tuo Lord Dio."
"Per dio non puoi esser Dio, Dio non va vestito così."
"Io sono Dio giuro su io."
"Chi credi di fregare, Dio non è negro."
"Ti giuro che è vero, è nero. Non lo diciamo, non dirlo neanche tu, perché vogliamo che sia una sorpresa quando un razzista arriva lassù."
"Mi prendi in giro, Dio?"
"No, per davvero sono nero, sono Dio, e suono la tromba da Dio."
"Voglio una prova" dice Onehand Tommaso Jack.
"Ok — dice Dio — lo vedi quel signore che cammina, quello vecchio curvo col bastone? Ecco..."
[emette un suono stridulo di tromba]
E il vecchio col bastone cade fulminato.
"Cazzo, per essere Dio suoni davvero male e sei davvero cattivo."
"Era la sua ora — dice Dio — e adesso basta, cosa vuoi da me Onehand Jack?"
"Voglio poter suonare, Signore."
"Va bene, ti darò una mano."
"Mi prendi anche per il culo, me l’hai già data una mano, una sola."
"No, voglio dire, ti aiuterò."
"Mi darai un’altra mano?"
"No, ti darò questo."
E dal cielo, attraverso la pioggia, come un’astronave di legno nero sfavillante, vola giù un contrabbasso grande così.
"Ecco qua — dice Dio — il tuo strumento te lo regalo io, mi gioco il mio nome e il mio onore che diventerai il numero uno del settore."
"Dio, Dio — gridava Onehand mentre il gran Dio negro trombettiere si alzava in volo — ma con una mano sola come suono, sii buono dimmi come suonerò con una sola mano?"
"Basta crederci" disse Dio.
Beh voi non ci crederete, ma Onehand Jack ci credette: arriva a casa, compra tutti i dischi di Mingus Rostropovitch Damiani, e prova prova prova con una sola mano
E studia e studia e suona e suona e suda e suda
E con una mano le note faceva
E coi denti pizzicava
Le corde mordeva
Con la mano sola pizzicava vibrava pestava
Soffriva piangeva ma... imparava
E suonava.
"Con una mano con una mano ho il mondo in mano e suono come un dio pagano
Oh non è un miracolo non è strano
Quando il blues prende il timone possiamo fare cose che neanche immaginiamo."

Passano tre anni nella città dei grattacieli e dei bassifondi, passano tre campionati di baseball, sette fidanzate, duemila litri di whisky, tre guerre e due rughe in mezzo alla fronte.
Nella città il locale jazz più pericoloso e più rinomato si chiamava Sfaccimme Hot Club.
Un locale bestiale.
Era il locale di Big Omemmè Joe, il locale che più fetente non si può.
Scarafaggi nei bicchieri grandi neri che se gli dicevi "via di qua" dicevano: "ma vai via tu, che c’ero prima io."
Whisky a fiumi, sigari toscani, dolcissimi veleni, danze pagane, musiche strane e tanto tanto cool hot medium well cuit bop jazz.
E il boss del locale era Big Omemmè Joe, cento chili di violenza, cicatrici di ordinanza, tre pistole sulla panza, ma se sentiva jazz diventava bello come un attore del cinema, buono come un missionario, generoso come... no quello no, non gli cavavi un dollaro neanche con la tortura.
Una sera Big Joe è lì che si beve il suo cocktail White and Black, metà vodka metà spremuta di scarafaggio, quando entra Storcinaso il buttafuori e dice:
"Ehi capo c’è un tipo strano un ragazzo con una sola mano e il contrabbasso che dice che vuole suonare per te."
"Con un mano non si può" dice Big Joe Ommemmè.
E cacciano via Onehand Jack.
Nella notte, triste, sconsolato, al trentesimo piano del più brutto palazzo del vicolo più squallido del più schifoso rione della zona più malfamata della città puttana, Onehand suona il suo blues, questo.
[blues]
Passa sotto la sua finestra Big Ommemmè Joe su una limousine grigia lunga dodici ippopotami e con dentro tutti i confort: Jacuzzi con gli spruzzi, video stereo forno porno a microonde, tre mulatte bionde che gli ciuccian le orecchie, due chili di popcorn e di castagne secche, champagne, bourbon e un cihuahua di nome Alonso Mordimarron, ex guardia del corpo di Domingo Peron.
Non si fa mancare niente, il vecchio Big Joe.
E attraverso il finestrino della limousine sente in un vicolo, su al trentesimo piano, qualcuno che suona il basso come l’angelo Malachia, e dice all’autista Sam:
"Fermati Sam."
Sam si ferma.
"Ascolta Sam."
Sam ascolta.
"Dimmi Sam hai mai sentito qualcuno suonare il contrabbasso così?"
"No" dice Sam.
"E allora portamelo giù."
"Il contrabbasso?"
"No, portami giù quello che lo suona, testa di cazzo!"
E Sam porta giù Onehand.
"Ehi — dice Big Joe — sei quello con la mano sola, sei tu che suonavi così? sì, bene farò la tua fortuna ragazzo, sei assunto nel mio locale, dieci dollari a settimana e ogni sera un gelato alla banana."
"No Big Joe, cinquanta dollari, cinquanta e ogni sera una Fanta."
"Ti do la metà di cinquanta, quaranta."
Big Joe in matematica era proprio una merda.
"Va bene — dice Onehand — vada per quaranta, qua la mano, affare fatto."

Così quella sera stessa Onehand Jack debutta con l’orchestra dei selvaggi tre.
Il primo è Bonzo Good, centottanta chili di lardo e blues, suona il sax, suona e suda, suona come un torrente, come un niagara, come una doccia, gli spettatori delle prime file devono portarsi dietro l’ombrello, e suona e suda e qualche volta piange anche cascate di sudore e di lacrime, certe canzoni piange altre no e se qualcuno gli chiede "Bonzo perché certe canzoni piangi e certe altre no?" risponde: "perché quelle altre non mi fanno piangere."
E’ un gran filosofo Bonzo Good.
Alla batteria Nano Hector Carmel, piccolo isterico cattivo come un pappagallo, ma quando suona crollano i lampadari, tremano gli scroti, il suo pezzo preferito l’ha scritto Richter, non il pianista, quello dei terremoti.
Al piano Charlie Fighetto, bello, unto, perfetto, col baffetto, le donne impazziscono per lui, e per ogni donna conquistata lui fa una tacca sul pianoforte, e una notte, dice la leggenda, patatrac, il pianoforte crollò, si dissolse in una nube di segatura, troppe tacche, troppe donne, Charlie.
E poi c’era Sweet Misery.
Lei era cieca ma era un gran bel vedere
Lei era cieca ma aveva un gran bel...
Lei era cieca ma aveva gli occhi più blu del mare
Come descriverla? era era... bella, di più era: non ci sono parole ecco Sweet Misery era una che quando la vedevi le dicevi: "oh Sweet Misery dagli occhi di... oh Sweet Misery che hai gli occhi color di..." ecco era così, non c’erano parole per Sweet Misery.
E appena Onehand Jack comincia a suonare e lei a cantare, bang! ecco che in un attimo esce di colpo dall’adolescenza, la guarda, gli spuntano i baffi, gli esplodono gli ormoni, cambia voce, sguardo e sarto, è un uomo ormai, e quando la voce di Sweet si incamminava, il basso di Joe la seguiva, la perdeva, la ritrovava, e lei si arrampicava su una nota alta e lo chiamava, e stavano in bilico un istante su una semicroma, e poi precipitavano giù nell’abisso di un mi basso, e litigavano, e si azzuffavano come gatti, lei lo provocava, scappava, lui con il ritornello le correva dietro, lei improvvisava, lui contrappuntava, lei si allontanava, poi si lasciava prendere, lo baciava, lo graffiava, e gridava d’amore, e si nascondeva in un accordo in settima, e lui la seguiva su per le ottave in cima al mondo, e vibravano insieme allacciati sull’ultima nota lunga, lenta, slow. Quanto lei era triste lui la cullava, quando lui era stanco la voce di lei gli andava vicino e lo carezzava, lo incitava, insieme pregavano e insieme bestemmiavano, e suonando si raccontavano i loro sogni, la loro crudele infanzia, le loro poche speranze.
E dopo un mese tutta la città parlava del magico ragazzo con una mano sola che suonava il basso come l’angelo Malachia e della bella ragazza cieca che cantava con lui. Sì, i selvaggi tre erano grandi, ma la gente veniva per Onehand Jack e Sweet Misery, proprio così.

Ma sapete com’è, le cose belle suscitano brutti pensieri e le cose pulite trovano sempre qualcuno che le vuole sporcare.
Così una sera nel locale si presenta Mike Consenta, l’uomo più assolto della città, padrone di televisioni e del racket dei peperoni, network, coca, chips e crac, non c’è niente che lui non ha, ed entra coi suoi gorilla Emmy Faith, Bixie Bossi, Chuck Costronzo e Ciccio Sparasassi, e dice: "in questa città comando io anche nello show, quella la cieca canterà per me Big Joe, e quello storpio lo metterò in qualche trasmissione scema dove potrà piangere e far pena."
"Scordatelo Mike" disse Big Joe.
E quella notte il locale di Big Joe bruciò.
Mike Consenta si ripresenta e dice: "hai cambiato idea Big Joe?"
"No" dice Big Joe.
E quella notte qualcuno fermò Sweet Misery in un vicolo e a sangue la picchiò.
La mattina dopo la città è grigia di pioggia livida, sembra in lutto per quello che hanno fatto a Sweet Misery, e Mike Consenta è lì che nuota a rospo nella sua piscina di brillantina quando suona il telefono, è Onehand Jack che dice: "vediamoci stasera al locale e ci metteremo d’accordo Mike." "Bene — dice Mike — vedo che sei ragionevole, storpio, verrò, oh sì, verrò."

Mezzanotte allo Sfaccimme Hot Club: entra Mike Consenta con Emmy Faith, Bixie Bossi, Chuck Costronzo e Ciccio Sparasassi. E lì nel centro della sala, sotto un riflettore, col contrabbasso che brilla come un grande scarabeo sacro, c’è Onehand Jack con un bellissimo frac rosso come un globulo.
"Ehi Onehand, storpio — dice Mike Consenta — fai le valigie tue e della cieca, e venite con me, non ho tempo da perdere."
"Aspetta" dice Onehand Jack. "Ascolta questa canzone..."
Ci sono cose che sembrano sporche ma sotto son diamanti
Ci sono tipi ben vestiti che han sotto squame di serpenti
Ci sono cose che non puoi comprare
Ci sono cose che non puoi contare
Non sai sei corde quante note possono fare
Non sai al buio cosa si può vedere

"Ehi Onehand cos’è questa storia — dice Mike e mette mano alla pistola — mi vuoi prendere in giro, storpio?"
Ci sono cose che non puoi cancellare
Di notte torneranno e non potrai dormire
Non sai il destino quanti strumenti sa suonare
Non sai quante mani ti possono afferrare

E di colpo mentre Onehand con una mano continua a suonare, un’altra mano spunta da dietro al contrabbasso e con una raffica di mitra stende Mike Consenta e i quattro gorilla, do re mi sol la e li manda all’aldilà.
"Cazzo Onehand — dice Big Joe — ma non ci avevi detto che avevi anche un’altra mano."
"Aspettavo l’occasione buona" dice Onehand Jack.

Beh questa è la leggenda di quella notte, chissà se è vera. Qualcuno disse che invece c’era un nano nascosto dentro al contrabbasso, qualcun altro che era stata Sweet a sparare, qualcun altro che Dio Shiva Manitù Mingus, per una notte, aveva veramente regalato un’altra mano a Onehand. Fatto sta che la sera dopo Onehand si presentò regolarmente con la sua sola mano a suonare con Sweet Misery e insieme suonarono per molti anni. "Chissà se la storia è vera?" direte voi, beh non lo so, ma io li ho sentiti suonare e vi dico che quando li ricordo, questa città piena di grattacieli e bassifondi, di sax e mitra, pescecani e santi, imbellettata di luci e intossicata di fumo come una puttana a mezzanotte, beh mi sembra che questa città, qualche volta, abbia un cuore. Un cuore che batte piano, affaticato, tenace, come il basso di Onehand Jack.

Ci sono cose che non puoi comprare
Ci sono cose che non puoi contare...

[sfuma ad libitum]




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