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Speciale musica: Zu – Carboniferous

Gli Zu sono una realtà da esportare, prima esperienza con la Ipecac di Mike Patton, ed offrono un noise ossessivo, petulante, invadente. Sono di Roma e sono una vera e propria macchina da guerra, congegnata, perfetta. “Carboniferous” è un urlo feroce di un bambino, inascoltabile, prolungato, ti mette faccia al muro, ti punta un fucile alla nuca e potrebbe sparare da un momento all'altro. È un disco potente, ricco di sfumature, che distrugge e disintegra il sistema nervoso dell'ascoltatore. Questo viaggio allucinante inizia con “Ostia”, martellante, penetrante, con una batteria che distruggerebbe muri e abbatterebbe porte. Di una cupezza perversa, “Carboniferous” condisce momenti metal (che ribattezzerei “letal” per l'occasione) con residui di elettronica e jazz. “Ostia” è il brano migliore dell'album ed è un vulcano in eruzione, che mostra, in realtà, il percorso che l'ascoltatore deve fare per arrivare alla fine. E allora si passa a “Chtonian”, con quella chitarra grattata - e violenta - iniziale, batteria essenziale e l'attacco metal. Poi il registro cambia e il brano diventa electro-dark, incredibile. E dai rumori di “Chtnonian” si passa a “Carbon”, psicotica, forse il brano più groove dell'intero lotto, rimarcato da quel sax impietoso. “Carboniferous” cresce di ascolto in ascolto, ti trasporta in un realtà atemporale, purulenta, ma granitica, compatta, rocciosa, alle pendici di un ideale Etna. “Beata Viscera” miete vittime su vittime, metallica e stronza, con un basso violentato sadicamente, piena di sfumature, splendida, densa, con numerosi stop & go. Brano da repeat, come “Ostia”. Altri pezzi da menzionare sono “Obsidian”, melodica e psichedelica, jazz-core, trait d'union con il passato degli Zu, e “Axion”, un hardcore spericolato con un finale post-jazz. Ma cos'è che non funziona in questo lavoro? In realtà, “Carboniferous” scorre via, nonostante la sua spigolosità, ma ci sono un paio di episodi poco convincenti come “Soulympics” (con Mike Patton alla voce) che, francamente, si potevano evitare. “Carboniferous” non lascia scampo, perseguita l'ascoltatore con la sua durezza, non lascia respirare, il basso di Pupillo è un qualcosa di impressionante e non ha eguali, almeno in Italia. Forse si fatica un po' ad arrivare alla fine, senza una pausa, un'interruzione, nonostante la continuità e l'omogeneità del disco. Ma, nonostante tutto, “Carboniferous” è il migliore album del trio dopo “Igneo”. Note mitragliate a 300 all'ora, sperimentale eppur fruibile, l'ultimo lavoro degli Zu si avvale anche di ospiti illustri come King Buzzo e Ragno Favaro alle chitarre, oltre all'insopportabile Patton (almeno per quanto mi riguarda, con tutta la stima che ho per lui). Viscerale e profondo, riassume e semplifica tutto il percorso artistico decennale degli Zu, un'atipica auto-celebrazione. Disco importante per conoscere ciò che offre di buono la scena indie italiana, essenziale se volete avvicinarvi alla musica degli Zu. Provate ad ascoltarlo in treno, con gli occhi che scrutano da dietro al vetro il paesaggio oppure in una zona degradata. Vi svelerà un mondo diverso.


Francesco Bove


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