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CI VEDIAMO AI BAGNI .... 3

A metà ‘800 il virus dei bagni ormai aveva contagiato le spiagge di mezza Europa, facendo nascere i primi attrezzatissimi stabilimenti nelle località balneari. Bagni di mare come terapia, poi come villeggiatura. Poi fu vacanza, e infine turismo di massa. Il tutto con la dinamica espansiva di un vero e proprio virus. Un virus benigno, però, che ha portato l’uomo a migliorare la qualità della sua vita. Un virus lento, che ha impiegato duecento anni per diventare patrimonio genetico consolidato di una intera civiltà. Dapprima fu qualche caso isolato, poi il radicarsi di un focolaio, poi continue espansioni e migrazioni alla ricerca dell’habitat migliore per attecchire e per espandersi. Sempre con sistematiche mutazioni genetiche per adattarsi alle reazioni dei luoghi e delle persone. Il contagio avveniva sulle spiagge, nelle corti e nei salotti europei. Attraverso processi di imitazione o dei semplici passaparola. Le direttrici su cui l’epidemia si diffuse in Europa, dopo aver attraversato la Manica, furono sostanzialmente due: quella "atlantico-mediterranea" che si propagò invadendo le coste francesi e spagnole dell’Atlantico, poi quelle francesi del sud, per ripiegare infine su quelle liguri e tirreniche; e la direttrice "mitteleuropea" che, attraverso Olanda, Germania e l’impero austroungarico, sbarcò a Trieste per invadere gradualmente tutto il bacino adriatico. Ed è facile capire perché il virus tentasse di spostarsi a sud: bene fare i bagni per cura, bene godere tra i flutti dei mari tempestosi, ma tra l’immergersi a Brighton con 15 gradi (Reaumur) di temperatura piuttosto che a Fano con 20, c’era, e c’è, una bella differenza.

Curiosità:

ESTATE 1762
Una memoria di polizia registra un fatto scandaloso accaduto al Lido di Venezia, ancora un’isola piena di dune e acquitrini, abbandonata e sconsacrata e frequentata per lo più da "femmine di malavita": due uomini di " buona apparenza" arrivarono insieme a una "signora vestita"; si spogliarono, tolsero l’abito alla donna, le misero una lunga camicia che "toccava fino a terra", "la presero per le braccia e la condussero nell’acqua". Le "levarono poi il camiciotto e restò nuda". E furono scherzi e insolenze a non finire che scandalizzarono non poco i presenti.

RIMINI 1790
Una nobildonna di origine irlandese, la bellissima Elisabeth Kenny, moglie del marchese romano Giuseppe Rondanini ed amante del nipote del Papa Pio VI, si fermò a Rimini per quindici giorni per compiere un ciclo di immersioni marine durato quindici giorni, puntualmente annotato da un cronista del tempo. Un’episodio che segna la partenza ufficiale della contaminazione sulla costa romagnola.

PESARO, 15 LUGLIO 1814
Il delegato apostolico di Pesaro, Luigi Pandolfi, provocato dallo "scandalo cagionato nei passati tempi dalla scostumatezza di alcuni ne bagni sì di mare, che di acqua dolce" emana un editto, che vietava a chiunque di nuotare "ignudo in vicinanza dell’abitato, del passeggio o della spiaggia". E fissava le spiagge ove potevano prender bagni le donne e gli uomini, opportunamente divisi e distanti tra loro. Non che non ci si potesse spogliare delle vesti, ribadiva deciso Pandolfi, ma solo "nel punto immediatamente prossimo del luogo del bagno". E bisognava spogliarsi e rivestirsi, "senza indugio", per il tempo strettamente necessario all’immersione. Quindi a Pesaro, e presumibilmente anche nelle altre località della costa, a quella data c’era già chi, incurante del pudore, andava in spiaggia e s’immergeva. Niente attrezzature, solo bagni nature, a quanto pare.

PESARO, dal 1817 al 1820
Nella tranquilla cittadina dello Stato pontificio, soggiornò con la sua piccola corte in esilio, la principessa di Galles, Carolina di Brunswich. Moglie di quel principe Giorgio che diverrà Giorgio IV d’Inghilterra, che aveva impiantato a Brighton il suo Royal Pavillon per trascrorrevi l’estate tra bagni e dissolutezze; e che era figlio di quell’altro Re Giorgio, il III, dello storico bagno a Weymouth del 1789. Ed era anche madre, Carolina, di quella Carlotta che aveva adottato il piccolo paese di Southend, sulla Manica, per farne una luogo di balneazione dopo averne scoperte le qualità dal 1801. Anche se nessun documento ne parla, è difficile pensare che l’esuberante principessa fosse immune da quella mania che caratterizzava tutti i suoi famigliari e che non si fosse concessa delle immersioni durante i suoi soggiorni marchigiani. Ma i cronisti pesaresi non ne parlano; ormai avvezzi ad ogni sua stravaganza, erano forse più attenti alle sue passioni amorose che a suoi eventuali bagni di mare.

A cura di bardamù


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