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Juventus - Napoli 0 - 2 : Touchables

Saranno state più o meno le 23. Forse un attimo prima. A Milano si è sentita qualche debole trombetta, poche urla. Un pizzico di gioia. I tanti napoletani che vivono qui probabilmente non hanno la forza di festeggiare; oppure non si sentono a casa, e non sopportano il silenzio attorno a loro. Il silenzio, anche quando il Napoli vince la Coppa Italia, e lo fa spezzando le ossa proprio alla Juventus ed ai juventini. No, il silenzio noi di Napoli non lo sopportiamo.
Il Napoli vince e lo fa guardando con tristezza quei napoletani che due settimane fa giravano per strada con le bandiere bianco nere. Maurizio De Giovanni ebbe a dire che questi ultimi possono anche far tenerezza, perché hanno ceduto all’illusione di essere vincenti. Napoli, ancora, una volta, ha dimostrato di saper vincere. Lo ha dimostrato la gente, la gioia. L’ha dimostrato l’Olimpico invaso di colori azzurri. Lo hanno dimostrato le migliaia di tifosi che hanno accerchiato Lavezzi e Cavani senza fargli del male. Chissà cosa avrà pensato proprio Lavezzi, chissà se si sarà reso conto che – ovunque andrà – non sarà mai accolto come è stato accolto a Napoli. Chissà se lo sa, il Pocho, che l’anno prossimo il primo tiro fuori non gli sarà perdonato dai tifosi dell’Inter, o del PSG…
Ero partito da Milano, dal silenzio… e mi sono spinto oltre. Ma le sensazioni ritornano proprio al silenzio di cui sopra. Quel silenzio di una città in cui la massa è così eterogenea da diventare, a volte, quasi informe. Una città che, da come mi raccontano, negli ultimi anni sta riprendendo la forma grigia degli anni 70 ed 80. La differenza è che adesso, in molti casi, i datori di lavoro sono diventati arabi o cinesi. E ne hanno tutto il diritto. Una città in cui anche i napoletani, a volte, hanno smesso di andarne fieri.
Una città in cui non avrei mai immaginato di festeggiare un trofeo lungo 22 anni, da quando l’ultima volta all’età di sei anni mio padre mi aveva lanciato in cielo per festeggiarlo insieme alle immagini di Maradona. Eppure, una città – Milano – che ancora riesce a parlare di contratti e diritti. Del resto, cosa pensare di Napoli… non è facile dirlo. Non è facile capirlo. Cosa pensare di una città che negli ultimi otto anni ti ha offerto lavori su lavori. A nero. Lunghi. Difficili da accettare. Cosa pensare delle redazioni dei giornali locali, che pretendono di farti lavorare 24 ore al giorno con il tuo pc, illuminato da uno squallido neon, e si meravigliavano quando a fine mese ti incazzi se non ti danno quegli spiccioli con cui a stento riesci ad offrire il caffè ad un paio di persone? Cosa pensare dei sindacati, che giù da noi sono diventati delle ottime agenzie di collocamento clientelari? Cosa pensare della volontà di distruggere i trasporti locali, quando nella grigia Milano le metropolitane passano ogni minuto e mezzo e ti portano dovunque?
Perché a Milano si, e a Napoli no? Eppure a Milano, dei mezzi di trasporto, si lamentano… e si lamentano anche quando non fanno il triplete… A Napoli, invece, la gente invade le piazze fino all’alba per aspettare la squadra su di un pullman scoperto. A Napoli, la gente questo arrivo lo aspettava da 22 anni. E lunedì? Lunedì è festa, evidentemente… non si lavora! E se anche si lavora – magari a nero – due occhi sfondati varranno bene l’emozione di aver urlato tutta la notte dopo anni di silenzio. Varranno bene la rabbia di aver vinto contro la Juventus: arrogante la società, arroganti i tifosi. Arroganti i servi del potere attorno. Ieri sera, i telecronisti della Rai erano uno spettacolo deplorevole: dispiaciuti, mesti… <<Certo, la Juve perdeva 3 a 1 e pareggiò 3 a 3… - Certo, la Juve quando ha giocato da Juve ha messo sotto il Napoli – Certo, La Juve però è una squadra fortissima! – Beh, quando il Napoli ha segnato la Juve stava giocando meglio! >>. Del resto, per qualche strano motivo la partita era Juventus – Napoli. Sempre dietro, sempre secondi, giusto? E invece no… 0 - 2. E forse, il momento più bello per molti tifosi è stato il cartellino rosso sbattuto in faccia a Fabio Quagliarella…
Non so da dove nascono queste parole, né dove vogliono arrivare. Forse è solo un modo per festeggiare, visto che qui si urla davvero poco. Forse un modo per non pensare che De Laurentis con il Napoli ci fa affari, che i calciatori stessi sono pronti ad andar via in un attimo, che alcuni calciatori del Napoli sono lì perché qualcuno ce li ha messi. Qualcuno li ha imposti. Un modo per non pensare che, così come all’epoca di Maradona qualche partita ce la siamo comprata e qualche partita ce la siamo venduta, forse anche ai giorni nostri qualcosa di losco dietro c’è eccome… un modo per non pensare che il mondo del calcio è uno dei mondi più malati e sporchi d’Italia.
Forse un modo per pensare con affetto ad Antonio e Massimo sullo stadio già dalle 16, a Stefano seduto accanto alla porta di ingresso della saletta Mannitidiriale: sentirmi lì e scendere ad urlare. Perché, infondo, è bello guardare lo stadio Olimpico invaso di gente che, probabilmente o purtroppo, non ha altri valori a cui legarsi.
E’ bello l’entusiasmo, è triste il contesto.
Se tutti i trentamila dell’Olimpico e tutte le migliaia di persone per le strade di Napoli nella lunga notte della Coppa Italia, mettessero lo stesso entusiasmo nel difendere l’ambiente, i diritti, il lavoro della loro città, probabilmente i signori che hanno saccheggiato Napoli fino ad oggi sarebbero messi con le spalle al muro.
Ma i tifosi amano solo la maglia.
E molti di loro sono anche pseudo fascisti del cazzo. O meglio, vorrebbero esserlo ma come dice Luca Persico non ne hanno nemmeno le palle. E allora, alla fine dei conti… cosa è successo ieri sera? Il Napoli ha vinto il suo trofeo, lo ha fatto contro la Juventus, contro l’arbitro, contro i telecronisti, contro i tifosi bianco neri, contro l’ultima gara di Del Piero, contro lo Stadio Olimpico, contro il Palazzo.
Touchables.
Lo ha fatto, però, dentro il palazzo. Non ci sarà mai un pensiero unico, lineare, quando si parla di calcio. Quando si parla di Napoli. Di sicuro, non essere lì in strada ad urlare mi è mancato. Molto.

igA


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